L’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, nella recente seduta del 16.7.2010, del Decreto Legge sui costi minimi della sicurezza dell’autotrasporto merci, poi confluito nel decreto legge n.103 del 6 luglio 2010, è stata di poche ore preceduta da una ferma e decisa reazione in senso contrario da parte del Presidente dell’Autorità Antitrust, Prof. Antonio Catricalà, il quale ha invitato il Parlamento a “non ratificare la decisione governativa”.
I motivi dell’opposizione al provvedimento, esternati dal massimo rappresentante dell’Antitrust sono ampiamente conosciuti dagli addetti ai lavori, consistendo nella preoccupazione, diffusa in certi ambienti, secondo cui gli accordi di settore che individuino costi minimi di esercizio del trasporto si traducano in una restaurazione del sistema delle tariffe obbligatorie (c.d. a forcella) – abrogate con il Decreto di Riforma del 2005 -, col timore infondato e non suffragato dai fatti, di gravi conseguenze in termine di alterazione delle leggi di mercato e restrizioni alla libertà di concorrenza nonché violazione dei principi comunitari in materia di mercato.
Da un punto di vista astrattamente teorico, non si può negare che l’autorevole intervento del Prof. Catricalà abbia un fondamento di verità, trattandosi di rilievi che – sempre sotto il profilo dei massimi sistemi – appaiono per certi versi condivisibili. Una semplice lettura del provvedimento fuga tuttavia questi dubbi infondati.
Ciò che sorprende è che nell’occasione, inoltre, sia il Presidente dell’Antitrust che autorevoli esponenti di Confindustria abbiano inopinatamente ignorato le argomentazioni di natura socio-economica sottese al provvedimento governativo da essi severamente contestato.
Ogni analisi delle problematiche del settore non può, infatti, prescindere dalle particolarità dell’autotrasporto italiano di merci, che, per una percentuale rilevantissima, è composto da piccole e piccolissime aziende a conduzione individuale o familiare, con a disposizione uno o al massimo due veicoli.
Parimenti, una lettura serena ed equilibrata dei processi economici in corso non può sottrarsi dal mettere in discussione l’utilità e l’opportunità dei meccanismi di concentrazione dell’offerta in atto nelle economie più avanzate del nostro Continente, sui quali gli stessi Stati, nei quali il fenomeno si è consolidato da più anni, si stanno da tempo interrogando. La vicina Francia ha in atto tariffe antidumping dal 1992 e sta pensando di rafforzarle.
La specificità tutta italiana rappresentata da una grandissima frammentazione del mercato dell’autotrasporto di merci dal lato dell’offerta è la ragione per la quale il legislatore negli ultimi decenni ha varato una serie di provvedimenti intesi a porre rimedio a tale intrinseca debolezza, attraverso l’introduzione di numerose facilitazioni fiscali e prescrizioni che ponessero rimedio al patologico meccanismo del ribasso dei noli, fortemente ricercato dalla committenza, sempre pronta a sfruttare la debolezza contrattuale del settore.
Per poter affermare – come fanno certuni – che tale scelta di politica economica abbia rappresentato un male per la categoria occorrerebbero delle meditazioni sulla materia più approfondite di alcuni interventi estemporanei lanciati nella concitazione del momento. Bisognerebbe, piuttosto, in maniera non faziosa e scevra da pregiudizi, rivisitare la storia dell’economia italiana a partire dall’ultimo dopoguerra per arrivare ad oggi – in pieno periodo di crisi globale – e rendersi così conto del ruolo fondamentale di traino giocato dalle PMI nella crescita produttiva di questo Paese, ivi incluse le aziende di autotrasporto.
Se il Prof. Catricalà, nel suo autorevole appello indirizzato alle Camere, avesse tenuto conto di questa decisiva circostanza, sarebbe stato sicuramente meno perentorio nel tacciare di assistenzialismo il provvedimento del Governo di cui adesso si discute.
Circostanza non meno grave – nell’esitare giudizi perentori sul merito della nuova disciplina ci si è evidentemente dimenticati di un aspetto fondamentale che si collega strettamente alla genesi della normativa di cui stiamo parlando, ossia l’obiettivo di riduzione drastica delle morti da incidenti stradali che si sono posti sia le Nazioni Unite che l’Unione Europea e che, in Italia, si è tradotto nell’adozione di misure di rigore nei confronti di chi mette a repentaglio la sicurezza stradale. Le modifiche al codice della strada in corso di approvazione vanno in questa direzione. Peraltro, affermare – come pure è stato fatto – l’esistenza sul mercato di parità ed uniformità di condizioni tra committenza e vettori rappresenta un incontrovertibile errore di fatto che si ritorce come un macigno sulla attendibilità dei discorsi dei corifei del liberismo ad oltranza nel settore.
La tanto proclamata “uguaglianza tra imprenditori che pari sono” esiste solo nei trattati di economia politica, dovendosi, purtroppo, constatare nella realtà di ogni giorno degli operatori che lavorano su strada una realtà ben diversa da quella presupposta dai moderni seguaci di Adam Smith.
Negare ad oltranza il macroscopico squilibrio di forze, oggi esistente, tra domanda ed offerta di servizi d’autotrasporto significa esporre la quasi totalità degli operatori (e delle loro famiglie) a seri rischi non solo per quanto concerne la loro sopravvivenza economica ma anche per quanto riguarda la loro incolumità fisica, insieme a quella dei tanti utenti delle strade italiane.
Tale assunto è stato compreso e recepito da tutti coloro che si occupano a vari livelli della questione dell’autotrasporto in Italia, il ché ha contribuito a prospettare soluzioni ai problemi che siano quanto più possibile compatibili con le caratteristiche e criticità del settore.
Se il fine ultimo ed ruolo della politica è quello di perseguire il bene pubblico, tutelando gli interessi ultraindividuali che emergono dal vivere sociale, è chiaro che ogni pretesa dogmatica all’adozione di regimi astrattamente perfetti dovrà cedere il passo al ricorso a sistemi più pragmaticamente congegnati al perseguimento della massima utilità comune, anche quando questo significhi derogare ai principi, abbracciati con convinzione in altri settori dell’economia.
Esaminando, infine, la questione da un punto di vista più strettamente giuridico (e, quindi, fuori dal mio campo), equiparare il nuovo regime dei costi minimi della sicurezza all’abrogato sistema delle tariffe a forcella mi sembra operazione non corretta.
Per vedere confermato quanto detto, basta considerare che la disciplina da poco introdotta, attraverso il rimando agli accordi collettivi di settore per la determinazione dei costi minimi, non come erroneamente affermato tariffe o prezzi, affida alla rappresentanza organizzata della committenza e degli autotrasportatori la traduzione in concreto del precetto normativo, esaltandone il senso di responsabilità e di cooperazione reciproca., contro ogni logica preconcetta di stampo dirigistico.
In secondo luogo, l’attenzione riversata sul mondo dell’autotrasporto con il provvedimento in parola si è tradotta in un’operazione tesa a salvaguardarne non tanto nocive rendite di posizione (come pur sostenuto da alcuni paventando un ritorno alle vituperate tariffe a forcella) quanto a difendere sacrosanti margini di sostenibilità e di sopravvivenza in favore della maggior parte degli operatori, esigenza tanto più insopprimibile ove si consideri che sono decine di migliaia le famiglie di piccoli imprenditori la cui sopravvivenza è minacciata ogni giorno dal dumping dei noli indotto dalla committenza.
Non si può pensare di negare ad ogni singolo autotrasportatore il diritto a ricevere una equa remunerazione per il proprio lavoro senza con ciò mettere a repentaglio l’incolumità del medesimo e dei tanti automobilisti che condividono ogni giorno con lui le strade italiane. Garantire una soglia minima in grado di coprire i costi di sicurezza dell’attività significa tutelare la sicurezza stradale e sociale ed, al contempo, contribuire a mettere in sicurezza l’intero sistema produttivo, le cui merci viaggiano per l’ 80% a bordo dei tir.
Ad opinione di chi scrive, appare oltremodo equo che il costo della sicurezza – per quanto si è qui detto – venga addossato al committente che trae beneficio dall’esecuzione del servizio e non venga, piuttosto, riversato sulla collettività come purtroppo spesso e volentieri è accaduto fino ad oggi.
L’astratta precisione e correttezza dei principi richiamati nelle sue osservazioni dal Prof. Catricalà necessita, per trovare concreto spazio ed applicazione, di un altro contesto economico più maturo e evoluto di quello attuale, per arrivare al quale occorrono investimenti tempo e volontà di scommettere da parte di tutti i protagonisti del sistema produttivo, senza chiamate in disparte o scrollate di spalle.
Al di là della divergenti opinioni personali sulla questione (assolutamente legittime), quello che non va assolutamente fatto è auspicare semplicisticamente che la forza burrascosa del mercato travolga i piccoli operatori, come se la morte di decine di migliaia di aziende d’autotrasporto fosse la panacea di tutti i mali del settore. Un simile ragionamento sarebbe follia pura!
Paolo Uggè