Roma, 13 Novembre 2014
NOR14346
SM
Oggetto: Impresa familiare. Non inquadrabilità in forme societarie previste dal codice civile. Sentenza delle sezioni unite della Cassazione.
Con Sentenza del 6 Novembre u.s, n. 23676, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno risolto un contrasto giurisprudenziale sorto tra le varie sezioni, affermando che l’impresa familiare non è inquadrabile in nessuna delle forme societarie previste dal codice civile.
In particolare, alla tesi più rigorosa che è quella accolta poi dalle Sezioni Unite, se ne contrapponeva una più possibilista che, invece, riteneva applicabile all’impresa familiare la disciplina delle società, soprattutto per le s.p.a e le s.r.l.
Secondo le Sezioni Unite, l’ostacolo principale all’applicazione della normativa societaria a questo tipo di impresa, è quello della disciplina patrimoniale concernente la partecipazione del familiare agli utili ed ai beni con essi acquistati, nonché agli incrementi dell’azienda in proporzione alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato anche al di fuori dell’impresa; e non, quindi, in proporzione alla quota di partecipazione. Ora- prosegue la Corte – “se è appropriato parlare di un diritto agli utili del socio di società di persone (art. 2262 c.c., che però ammette il patto contrario), mentre solo una mera aspettativa compete al socio di società di capitali, in cui la distribuzione di utili dipende da una delibera assembleare o da una decisione dei soci (art. 2433 c.c. e art. 2479 c.c., comma 2, n. 1) – nessun diritto esigibile può essere reclamato, nemmeno dal socio, sui beni acquisiti al patrimonio sociale e tanto meno sugli incrementi aziendali, “durante societate””. Inoltre, prosegue la Corte, ancora più incompatibile con le regole della Società appare il riconoscimento di diritti corporativi al familiare del socio “tale da introdurre un inedito metodo collegiale maggioritario, integrato con la presenza dei familiari dei soci, degli incrementi e altresì la gestione straordinaria e gli indirizzi produttivi; e financo la cessazione dell’impresa”.
Quanto sopra appare in netto contrasto con la normativa societaria, in cui la titolarità delle decisioni compete, di volta in volta, “agli amministratori o ai soci, in forme e secondo competenze distintamente previste (il più delle volte da norma inderogabili), in funzione del tipo societario, ma univoche nell’esclusione di soggetti estranei alla compagine sociale”.
Il testo della Sentenza delle Sezioni Unite, è disponibile al link sottoindicato.
Cordiali saluti.
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